Nel brano, Giuseppe è definito «uomo giusto». Rifiuta di prendere con sé Maria e il bambino non perché ritenga sua moglie un’adultera, ma perché lui si ritiene giusto.
Ecco, il Vangelo capovolge questa mentalità, tipica dell’uomo religioso di sempre: considerare il dono di Dio come premio, come qualcosa che vada meritato in virtù di una prestazione. Invece occorre credere che possiamo essere oggetto dei doni di Dio, in ultima analisi della sua misericordia, al di là della nostra giustizia, al di là di ciò che riteniamo di poter meritare, di ciò che abbiamo fatto o non fatto nella nostra vita. L’amore non è mai un premio.
In fondo, anche noi cristiani soffriamo della medesima malattia di Giuseppe, quella di considerare il rapporto con Dio sulla base di una giustizia retributiva, immaginando di essere oggetto di bene in base al nostro comportamento morale. E invece no, la mia miseria sarà sempre misura della sua misericordia. Giuseppe è dunque l’uomo giusto chiamato a essere sovra-giusto. E in fondo la sovra-giustizia richiesta qui a Giuseppe coincide con la verginità di Maria: disponibilità a ricevere ciò che non dipende dalle proprie capacità fisiche, morali né tanto meno religiose. Maria non ha detto: «Non posso ricevere perché non me lo merito»; ma: «Proprio perché non ho in me nulla da far valere, nulla su cui poter contare, sono nella condizione di ricevere tutto».
Maria è la donna che ha fatto voto di vastità. Il povero aprirà il suo desiderio all’infinito; l’orgoglioso si aprirà solo a quella possibilità di compimento che corrisponde a ciò che lui è in grado di compiere.
Tratto dal libro Ogni storia è storia sacra di Paolo Scquizzato, Paoline 2019
Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
a lui sarà dato il nome di Emmanuele: «Dio con noi».