L’immensità del Minuscolo

Giuseppe Forlai, igs

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     Tutto il mistero di Cristo ci redime. Ogni attimo dell’esistenza terrena del Maestro va assimilato in noi perché egli riviva nel tempo della Chiesa; non siamo chiamati semplicemente a osservare gli insegnamenti evangelici come un cinese si conforma ai detti di Confucio. Il nostro esistere, dal giorno del battesimo, è già solamente mistica: la vicenda terrena che mi è stata donata è perché io mi abbandoni ai misteri della vita di Gesù. Quando soffro è Lui che soffre in me; quando gioisco è Lui che gioisce; quando dono è Lui che si immola; quando sono povero è Lui che prende la condizione di servo; quando sono malato è Lui che porta la croce. La nostra più alta vocazione è diventare, come scriveva quattro secoli fa J.-J. Olier, il “trono di cristallo” di Dio: la sua bellezza si può intravedere oggi attraverso la trasparenza della nostra esistenza.
 
     Ma gli stati della vita di Gesù, che siamo chiamati a far rivivere in noi, possono essere messi a fuoco correttamente solo attraverso la lente del primo grande mistero: quello della sua incarnazione e della sua formazione a Nazareth. La vita del Maestro si ammira bene sotto la lente dell’umiltà, della piccolezza. Don Alberione scriveva che il mistero di Nazareth è la fucina in cui si forma il vero cristiano (cfr. DF 14-15): nel nascondimento della vita quotidiana possiamo prendere la forma di Cristo attraverso l’azione misteriosa dello Spirito e delle mani operose di Maria e Giuseppe. Tutto inizia a Nazareth e tutto avrà sempre il colore di Nazareth. Nella vita di Gesù e nella nostra. Anche la gloria della risurrezione ha il colore di Nazareth: umile miracolo accessibile esclusivamente ai puri di cuore.
 
     Queste considerazioni possono sembrare pii pensieri, una sorta di effimera fuga pseudo mistica. Facciamo bene a diffidare degli slogan, a patto però di non perdere di vista il reale. Ed è proprio il reale che ci salva dalle spiritualizzazioni e ci immette nella mistica: ora cosa c’è di più reale della minuscola esistenza di Gesù a Nazareth fatta di una casa mezza scavata nella roccia, due capre, una pialla, una bottega in cui rifugiarsi all’alba per guadagnarsi il pane? Cosa c’è di più sperimentabile dell’anonimo e meraviglioso giorno che nasce fatto delle solite cose, della solita gente, del solito asino che Giuseppe, il custode del Minuscolo, carica di sgabelli e travi appena terminate da portare a clienti che pagano sempre in ritardo? Se consideriamo un pio pensiero la vita di Cristo in noi è perché non ci siamo mai stupiti per quel che accade ora nel minuscolo spazio di quella Nazareth che, volenti o nolenti, siamo anche noi, “giganti dei nostri sogni e nani delle nostre paure”.
 
     La sola chance che abbiamo è arrenderci al Minuscolo facendone il criterio interpretativo del nostro modo di vivere il Vangelo: è quel fortissimo “poco” che come un sassolino scagliato dall’alto frantuma i piedi d’argilla del colosso sognato da Nabucodonosor. Lasciamo il gigantismo del nostro io per amare il minuscolo che siamo e che ci salva. Esistono due verità, scriveva Madame Guyon, il Tutto e il nulla. Noi siamo la seconda cosa… Dio la prima. Guai a invertire l’ordine.
 
     Questo tempo di Avvento è il momento opportuno per ricordarci che nel mondo dell’essere lo “speciale” è solo Dio e che noi siamo semplicemente qui ad ammirare la gloria del Minuscolo e a custodirlo come Giuseppe. Iniziamo questa contemplazione a partire dalla nostra nascosta vicenda, sgonfiando ridicole aspettative, ridimensionando progetti altisonanti e forse poco evangelici. Cominciamo da Nazareth e in questo mistero di Gesù rimaniamo. E se saremo chiamati ad uscirne, per un po’ coltiviamo la nostalgia di tornarci. E anche in fretta.
 
 

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