Vieni e vedi. Comunicare incontrando le persone dove e come sono

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Messaggio Giornata mondiale comunicazioni sociali 2021

“Vieni e vedi” (Gv 1,46).
Comunicare incontrando le persone dove e come sono

 

Questo è il metodo di ogni autentica comunicazione umana:
Non si comunica senza muoversi venire
e senza essere testimoni vedere.
Mons. Domenico PompiliVescovo di Rieti
Presidente Commissione Episcopale
La comunicazione è un incontro

Papa Francesco non è un esperto di comunicazione, ma è un comunicatore eccezionale. Per questo il Papa ha sempre immaginato la comunicazione non come un complesso processo semiotico, ma semplicemente come un evento di prossimità fisica. È accaduto perfino che papa Francesco, ad esempio nel 2015, si lasciasse ispirare dalla visita di Maria ad Elisabetta (Lc 1, 39-56) per descrivere il miracolo della comunicazione con una interpretazione più realistica e convincente di tanti media studies (Cfr. Messaggio per XLIX Giornata Mondiale delle comunicazioni sociali).

Quest’anno, l’invito per la 55ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni è pressappoco simile: Comunicare incontrando le persone dove e come sono. Francesco, insomma, chiede ai giornalisti e ai comunicatori di venire e vedere. Questo è il metodo di ogni autentica comunicazione umana. Non si comunica senza muoversi venire e senza essere testimoni vedere. Non basta, dunque, riportare notizie per sentito dire. Bisogna dare tridimensionalità: «mettersi in movimento, andare a vedere, stare con le persone, ascoltarle, raccogliere le suggestioni della realtà, che sempre ci sorprenderà in qualche suo aspetto». Perché — scrive il Papa — «per conoscere bisogna incontrare, permettere che colui che ho di fronte mi parli».

Oggi si parla spesso chiusi dentro il proprio loculo informatico. Non sembra più esserci spazio per lo stupore, per lasciarsi sorprendere da qualcosa che incontri. Tutto è già predefinito. Eppure il segreto della comunicazione del cristianesimo, fin dalle origini, è proprio questo. Qualcosa o qualcuno che non avevi previsto. Il Papa sembra così privilegiare, senza dirlo, i generi dell’inchiesta e del reportage. Questi generi permettono di evitare che si diffonda una «informazione preconfezionata, di Palazzo, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi, né le energie positive che si sprigionano dalla base della società».

Questo è l’obiettivo: intercettare la verità delle cose e cogliere i fenomeni e le energie.Ma per fare questo, l’unica strada certa è l’incontro.

L’incontro con la realtà comunica

foto: PIXABAY

Se l’incontro decide della comunicazione, il giornalismo altro non è che «racconto della realtà». Questo richiede il desiderio, la curiosità, la passione e la capacità di andare laddove nessuno va. In particolare in quei luoghi del mondo dove si compiono soprusi e ingiustizie contro i poveri o le minoranze. Comprendiamo perché il giornalismo in questo senso può avere una funzione terapeutica, specialmente per la democrazia e la giustizia. Questa è anche la strada per evitare giornali fotocopia e informazioni dal Palazzo. Per evitare questo rischio oggi assai presente, occorre andare laddove pensiamo che non ci sia alcun bisogno di andare; dove crediamo non ci sia nulla di buono, di interessante, da vedere. Come diceva Ryszard Kapuściński, giornalista, scrittore e saggista polacco, il problema delle televisioni, e in generale di tutti i media, è che hanno creato un mondo tutto loro.

Un mondo che ha poco a che fare con la realtà, per questo il cinico non è adatto a questo mestiere. Non c’è, dunque, giornalismo possibile fuori dalla relazione con gli altri esseri umani. La relazione con gli altri è l’elemento imprescindibile del nostro lavoro. Per scrivere di qualcuno bisognerebbe averne condiviso almeno un po’ la vita.

Per Francesco, «la crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, senza più consumare le suole delle scarpe». Le innovazioni tecnologiche in questo senso sono una risorsa perché mette in rete «conoscenze che altrimenti non circolerebbero», e «permette incontri che altrimenti non avverrebbero». La rete «può moltiplicare la capacità di racconto e di condivisione: tanti occhi in più aperti sul mondo, un flusso continuo di immagini e testimonianze». Anzi, è proprio grazie alla tecnologia digitale che abbiamo «una informazione di prima mano e tempestiva». Infatti tutti, anche solamente con un cellulare in mano, possiamo «diventare testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali, dare un nostro contributo civile, far emergere più storie, anche positive».

La rete ci permette di raccontare la realtà e condividere notizie di prima mano. D’altra parte è chiaro che se non c’è verifica il rischio è la manipolazione, che può essere operata da chiunque. Conclude opportunamente Francesco: «Tutti siamo responsabili della comunicazione che facciamo, delle informazioni che diamo, del controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole».

Il giornalista è quel che fa la differenza

foto: PIXABAY

«Se non ci apriamo all’incontro – prosegue il Papa – rimaniamo spettatori esterni, nonostante le innovazioni tecnologiche che hanno la capacità di metterci davanti a una realtà aumentata nella quale ci sembra di essere immersi». Tuttavia, evidenzia, ogni strumento è utile solo se mette in circolazione conoscenze che altrimenti non circolerebbero. In particolare si sofferma sulle opportunità e le insidie del web.

La rete con i social può moltiplicare la capacità e la velocità di condivisione delle notizie, in un flusso continuo di immagini e testimonianze – ad esempio per le emergenze nelle prime comunicazioni di servizio alle popolazioni – ed essere quindi «uno strumento formidabile». Esiste, nota, il rischio di una comunicazione social «priva di verifiche»: non solo le notizie ma anche le immagini sono facilmente manipolabili, a volte «anche solo per banale narcisismo». «Tale consapevolezza critica – asserisce il Papa – spinge non a demonizzare lo strumento, ma a una maggiore capacità di discernimento», con responsabilità dei contenuti diffusi e del «controllo che insieme possiamo esercitare sulle notizie false, smascherandole – così come, ribadisce – tutti siamo chiamati a essere testimoni della verità: ad andare, vedere e condividere».

foto: PIXABAY

L’orizzonte della pandemia, che dall’inizio del 2020 ha travolto il mondo, segna decisamente questo Messaggio. Il Papa avverte che esiste il rischio di raccontarla, così come ogni crisi, «solo con gli occhi del mondo più ricco», di tenere una «doppia contabilità». Il pensiero di Francesco va, in questo senso, alla questione dei vaccini e delle cure mediche, al rischio di esclusione delle popolazioni più indigenti. «Chi ci racconterà – si chiede – l’attesa di guarigione nei villaggi più poveri dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa?». Si tratta di un pericolo che investe anche il «mondo dei più fortunati», dove «il dramma sociale delle famiglie scivolate rapidamente nella povertà resta in gran parte nascosto», dove «non fanno troppa notizia le persone che, vincendo la vergogna, fanno la fila davanti ai centri Caritas per ricevere un pacco di viveri».

Le differenze economiche rischiano quindi di segnare l’ordine della distribuzione del vaccino anti-Covid, con i poveri sempre ultimi e «il diritto alla salute per tutti affermato in linea di principio» ma «svuotato della sua reale valenza».

Dal cuore del Papa scaturisce anche un ringraziamento per il coraggio di tanti operatori della comunicazione. È merito di giornalisti, cineoperatori, montatori, che spesso rischiano nel loro lavoro, «se oggi – dice – conosciamo, ad esempio la condizione difficile delle minoranze perseguitate in varie parti del mondo; se molti soprusi e ingiustizie contro i poveri e contro il creato sono stati denunciati; se tante guerre dimenticate sono state raccontate. Sarebbe un impoverimento se queste voci venissero meno».

Il medium è il messaggio

«Il vieni e vedi era ed è essenziale», riafferma quindi il Papa nel Messaggio. «Non si comunica, infatti, solo con le parole, ma con gli occhi, con il tono della voce, con i gesti», sostiene Francesco facendo riferimento al grande peso che la comunicazione non verbale ha nell’esperienza che facciamo della realtà. La grande attrattiva che esercitava Gesù era dovuta alla verità della sua predicazione, ma l’efficacia era inseparabile dal suo sguardo, dagli atteggiamenti e «persino dai suoi silenzi». In Lui – il Logos incarnato – la Parola si è fatta Volto.

foto: STOCK

Nel Messaggio rivolto al mondo di chi si occupa quotidianamente di comunicazione, non manca il riferimento a autori che hanno sottolineato l’importanza dell’esperienza concreta. «Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita», consigliava ai suoi colleghi giornalisti il Beato Manuel Lozano Garrido, vissuto nel ‘900 e beatificato nel 2010. Nei primi secoli del cristianesimo lo stesso sant’Agostino ricordava che «nelle nostre mani ci sono i libri, nei nostri occhi i fatti», esortando a riscontrare nella realtà il verificarsi delle profezie presenti nelle Sacre Scritture. «In ogni ambito della vita pubblica, nel commercio come nella politica, quanta eloquenza vuota abbonda anche nel nostro tempo», è la considerazione del Papa, che si richiama anche alle sferzanti parole del grande drammaturgo inglese William Shakespeare, ne Il mercante di Venezia, sul parlar all’infinito e senza dir nulla. Parole, assicura Francesco, che «valgono anche per noi comunicatori cristiani». Per questo ritorna il riferimento alla buona novella del Vangelo che riaccade oggi «ogni qual volta – dice – riceviamo la testimonianza limpida di persone la cui vita è stata cambiata dall’incontro con Gesù». Si tratta di persone che hanno accettato lo stesso invito Vieni e vedi e «sono rimaste colpite da un di più di umanità» che traspariva in chi testimoniava Gesù.

«Quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso – immagina il Papa – si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare», e anche quando non poteva essere incontrato di persona, «il suo modo di vivere in Cristo era testimoniato dai discepoli che inviava». Da qui la sfida che ci attende, «quella – osserva Francesco – di comunicare incontrando le persone dove e come sono», come ricorda il tema stesso del Messaggio. In modo poi inedito rispetto ai suoi precedenti testi per questa Giornata, il Papa conclude con una preghiera in cui si chiede al Signore di insegnarci ad «andare là dove nessuno vuole andare, a prenderci il tempo per capire, a distinguere l’apparenza ingannevole dalla verità».

Con «la grazia di riconoscere – conclude – le tue dimore nel mondo e l’onestà di raccontare ciò che abbiamo visto».

Mons. Domenico PompiliVescovo di Rieti
Presidente Commissione Episcopale


Allegati