Per loro Dio è tutto

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Avevo circa otto anni, era un caldo pomeriggio d’estate ed ero in vacanza al mare con mia nonna nella località Pinarella (Ravenna); insieme siamo andate a visitare la chiesa parrocchiale, dove era dipinta una splendida immagine di Cristo, alta quasi sei metri, con un volto sorridente e la braccia aperte, che mi affascinava e sembrava dirmi: Vieni a Me con fiducia. Accanto alla chiesa c’era un grande stand delle Figlie di San Paolo, dove siamo passate per comprare un libro e una delle suore mi ha sorriso, in un modo che mi ha colpita, comunicandomi gioia e serenità. Tornando a casa ho chiesto alla nonna: «Perché le suore sono così felici?» E lei, donna di fede, mi ha risposto: «Perché per loro Dio è tutto». Quella frase mi ha entusiasmata e le ho detto subito: «Allora anch’io da grande voglio fare le suora!» Lei si è un po’ spaventata e ha replicato: «Ma per diventare suore ci vuole la vocazione!». Quella parola, “vocazione”, così misteriosa, mi ha incuriosita, però dopo un po’, ho dimenticato quell’episodio.

È riaffiorato alla mia memoria solo molti anni dopo, quando ero già postulante e due Paoline della comunità di Milano, di cui una era la mia maestra, mi hanno detto di essere state a quello stand estivo più o meno negli stessi anni delle mie vacanze. Avevo ritrovato il loro sorriso!

Diventata adolescente, mi piaceva molto leggere libri, sia racconti o romanzi di avventura, che testi di spiritualità e tra questi due che sono diventati miei compagni di strada, Storia di un’anima di Teresa di Lisieux e il Castello interiore di Teresa d’Avila. Mi era rimasto nel cuore, infatti, quel senso di fascino e di attrattiva per Dio che avevo provato di fronte all’immagine di Cristo e che sembrava crescere con me, non solo quando mi trovavo in chiesa, ma anche quando percorrevo in bicicletta le strade della campagna del mio piccolo paese. La bellezza della natura mi comunicava una Presenza che mi amava, mi avvolgeva, mi voleva per Sé. Un giorno ho avvertito in modo più intenso il suo invito a fare di Lui il mio “tutto” e ho sperimentato quanto mi riempiva di gioia e di trepidazione dirgli di sì. Era questo il significato della misteriosa parola “vocazione”? E dove mi avrebbe portato?

La risposta è arrivata una mattina di primavera quando, nel Duomo della mia città, Mantova, due suore Paoline mi hanno avvicinata per invitarmi a partecipare a un campo scuola e ho capito che era il segno che aspettavo. Durante quel campo e in quelli successivi, come anche nei ritiri in comunità, che ho cominciato a frequentare, insieme ad alcune amiche della mia parrocchia, ho scoperto la bellezza della missione paolina, la figura di don Alberione, le varie componenti della Famiglia Paolina, lo stile di vita… e mi sono sentita “a casa”.

Mi appassionava il modo in cui le Paoline e i Paolini animavano la preghiera, le celebrazioni, attraverso canti moderni e linguaggi audiovisivi, e le catechesi, incentrate sulla Parola di Dio e la lettura di fede della storia contemporanea.

Desideravo poter condividere questa esperienza di vitalità anche con la mia parrocchia, dove il glorioso coro polifonico del passato si era sciolto, i cineforum finiti, i canti erano sempre gli stessi, la liturgia un po’ spenta e abitudinaria e tristemente vuoti i banchi dove un tempo c’erano i giovani. Ma come convincere il mio anziano e scoraggiato parroco, di buon cuore, ma dall’aspetto molto severo, che passava ore a suonare l’organo da solo, a lasciarci portare la chitarra in chiesa, cambiare radicalmente il repertorio, introdurre linguaggi ed esperienze nuove…? Eppure, una volta preso coraggio e fatta la proposta, lui ha accettato di lasciarci provare e la reazione della gente è stata così positiva da riempirci di meraviglia. Domenica dopo domenica la nostra comunità è passata dalla noia alla gioia, ha cominciato a rifiorire, come i campi quando passano dalla nebbia dell’inverno al sole di marzo.

È la stessa meraviglia, lo stesso brivido di stupore di fronte al miracolo di una rinascita interiore, personale o collettiva, che ho provato tante volte nella mia vita di Figlia di San Paolo. La gioia e lo stupore nella esperienza delle missioni bibliche, i centri di ascolto della Parola, i cineforum o i discoforum, le giornate del Vangelo, in contatto “itinerante” con la gente, con i catechisti e con i giovani, con la loro riscoperta della fede, con il passaggio da una religiosità vissuta per tradizione o per abitudine a un incontro personale e coinvolgente con Cristo Via, Verità e Vita.

È la stessa emozione, o forse, col passare degli anni è un po’ meno spumeggiante e più intima e profonda, di sperimentare le sorprese della Provvidenza. Come quella di ritrovarmi, ormai professa, a fare una mostra del libro proprio a Pinarella e ritrovare ancora il sacerdote che c’era allora, e raccontargli che la suora davanti a lui da bambina era incantata di fronte al dipinto della sua chiesa. O come quella di organizzare a mia volta campi scuola e incontri vocazionali, incrociando la strada di altre compagne di fede e di apostolato, nel momento delicato e decisivo delle loro scelte di vita.

È più grande ancora, invece, la passione per la comunicazione. Passando da un servizio all’altro, dal governo provinciale all’editoriale multimediale, dall’animazione della Settimana della Comunicazione all’Associazione Comunicazione e Cultura Paoline, all’apostolato digitale, ho sentito crescere anno dopo anno la convinzione che il carisma paolino è un tesoro da condividere, perché contiene tanti elementi preziosi e fecondi proprio per la Chiesa di oggi, per la società di oggi. E più ampio che mai è diventato oggi l’orizzonte, in questa nuova tappa di cammino, che mi ha portata a conoscere ed essere a servizio delle sorelle di tutto il mondo.

Bruna Fregni, fsp


Allegati