Se la mia vita fosse stata diversa, non sarei quello che sono oggi

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Sono nata in una famiglia di 9 figli, due femmine e 7 maschi. Quando sono nata i miei genitori non erano cristiani praticanti. Ma ho studiato nelle scuole cattoliche e andavo a messa per obbligo scolastico. Ho avuto il battesimo e la prima comunione quando avevo nove anni.

Ma nel 1990 mio padre si ammalò e pensando di morire decise di tornare nella Chiesa, divenne un grande animatore parrocchiale. In questo periodo cominciai ad esercitare il servizio di lettore.

La mia storia vocazionale è una vera avventura di Dio e con Dio. Non ho mai sognato di farmi suora, il mio sogno era quello di essere una buona sposa e madre. Infatti, nella mia parrocchia c’erano le suore di una diocesi del Congo; una di loro, direttrice della scuola, era molto cattiva con i bambini. Picchiava senza pietà chi arrivava tardi alle lezioni. E le donne dicevano che era cattiva perché non aveva figli.

Alla fine degli studi secondari ho sentito il desiderio di farmi suora, ispirata dalla Parola di Dio: La messe è molta ma gli operai sono pochi (Lc 10,2). Questa parola di Gesù nel Vangelo di Luca ha risvegliato in me il desiderio di essere operaio nella messe del Signore. Ma non era facile, c’erano ostacoli da superare. Mi sono chiesta se i miei genitori sarebbero stati d’accordo; poi se mio zio, che aspettava la mia dote, mi avrebbe lasciato entrare in convento! Annunciai la notizia a mio papà che era animatore pastorale, lui accettò e mi disse di studiare prima, ma mia mamma non era d’accordo perché, essendo la seconda figlia di famiglia, dovevo sposarmi e mio zio aspettava la dote. Dovevo chiedere a mio zio il permesso di liberarmi. Non era facile, dopo preghiera e riflessione sono andata a parlare con lui, per fortuna non si è opposto.

Come ho detto prima, non sapevo nulla della vita religiosa né delle diverse congregazioni religiose. Ma non volevo entrare in una congregazione la cui missione era l’educazione o negli ospedali e mi sentivo chiamata a fare qualcosa di diverso. Ho parlato con il mio parroco e lui mi ha dato un opuscolo con i nomi delle varie congregazioni e la loro missione. È stato in questo opuscolo che ho trovato la Congregazione delle Figlie di San Paolo, la sua missione e il suo carisma.

Ma perché Figlie di San Paolo? Innanzitutto la loro missione era fuori dall’ordinario ed ero molto entusiasta di scoprirla anche se non capivo molto. La seconda cosa che mi ha attratta è stato il nome Figlie di San Paolo. Mi sono detta «anche da vecchia sarò sempre figlia di San Paolo». Questo era tutto per me: missione e nome.

Nel 2000 ho iniziato la mia formazione; nel 2005 ho emesso la prima professione e nel 2012 la professione perpetua.

Momento di buio ma la mano di Dio era su di me

Dopo quattro anni di voti perpetui, ho vissuto un momento di forte crisi. La vita religiosa non significava più niente per me. Tutto: apostolato, preghiera, vita comunitaria non avevano più senso per la mia vita. Nel 2016 ho chiesto di ritirarmi dalla Congregazione, e sono andata a fare un’esperienza di vita fuori per quasi tre anni. Ma quando Dio vuole una persona, anche se la lascia libera trova sempre il modo per riportarla a sé. Vai, vendi tutto quello che hai, poi vieni e seguimi (Mc 10,21). Queste parole sono state per me una seconda chiamata. Lasciare tutto: lasciare un lavoro, una casa, un paese di accoglienza, degli amici per tornare in Congregazione.

Sì, ho dovuto vendere tutto per Lui, perché ho capito che non scappavo dalle difficoltà, ma da Colui che ha accettato di morire per me sulla croce. Così nel 2019 sono tornata in Congregazione. Sono contenta e felice di vivere la mia vita religiosa paolina. Ringrazio il Signore per questa bella avventura che continua. Finché Egli guida, sono in pace e aperta alla Sua volontà. Perché mi ama così tanto che non può fare niente per farmi del male.

Thérèse Tshibola Nsaka, fsp


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